Lecce (venerdì, 09 maggio 2025) — Il 9 maggio 1978 resta una delle date più drammatiche della storia italiana. Mentre l’intero Paese era sconvolto dal ritrovamento del corpo senza vita di Aldo Moro, rinchiuso nel bagagliaio di un’auto in via Caetani a Roma, un’altra tragedia si consumava lontano dai riflettori, nel piccolo comune siciliano di Cinisi, a pochi chilometri da Palermo: quella di Peppino Impastato.
di Valeria Russo
Giuseppe “Peppino” Impastato, appena trentenne, veniva ucciso dalla mafia che aveva combattuto con coraggio, ironia e determinazione. Il suo corpo fu fatto esplodere con una carica di tritolo sui binari della linea ferroviaria Palermo-Trapani. Era un omicidio politico, mascherato da suicidio o da incidente dinamitardo, e destinato inizialmente a passare quasi inosservato. Peppino era cresciuto in una famiglia profondamente intrecciata con la mafia locale. Suo zio acquisito, Cesare Manzella, era stato un boss di primo piano. Suo padre, Luigi, era amico intimo di Gaetano Badalamenti, detto “don Tano”, il capomafia di Cinisi. Ma Peppino ruppe con quella tradizione criminale e iniziò una lotta senza tregua, usando la parola come arma. Nel 1977 fondò Radio Aut, una radio libera e autofinanziata, da cui lanciava satire feroci contro i mafiosi locali e le collusioni politiche, in particolare contro Badalamenti, suo vicino di casa. Dalle frequenze della sua “Onda Pazza”, denunciava con nomi e cognomi i responsabili di soprusi, omertà e corruzione. La sua voce dava fastidio, e per questo fu eliminato. A eseguire il delitto fu la mafia, e a ordinarlo fu proprio Gaetano Badalamenti, condannato all’ergastolo solo nel 2002, grazie alle testimonianze di collaboratori di giustizia come Salvatore Palazzolo. La verità giudiziaria arrivò dopo anni di depistaggi, silenzi e insabbiamenti. In un primo momento, Peppino fu dipinto come un suicida o come un terrorista incapace. Una versione comoda, che consentì di archiviare il caso e seppellirlo in fretta. Fu la madre di Peppino, Felicia Bartolotta, a tenere viva la memoria del figlio e a combattere per la verità. “Ora tutti sanno qual è la verità. Ora aspetto la condanna di Badalamenti e poi posso anche morire”, disse dopo la sentenza. Felicia morì nel 2004, pochi mesi dopo la scomparsa del boss condannato. Oggi la figura di Peppino Impastato è un simbolo della lotta alla mafia, della libertà di parola e del coraggio civile. A ricordarlo, oltre ai cortei e alle iniziative che ogni anno si tengono in sua memoria, c’è anche il film I cento passi, che ha portato la sua storia al grande pubblico. Ma soprattutto, lo ricorda quella verità per cui ha pagato con la vita: la mafia uccide, ma il silenzio uccide di più.
Last modified: Maggio 9, 2025