Nardò – Al Caffè Letterario Neritonensis, una serata dedicata a “Tarantole e Tarantismo” ha trasformato la ricerca accademica in un vero spettacolo dell’intelligenza. Protagonisti dell’incontro, organizzato il 2 novembre, sono stati Eugenio Imbriani e Giancarlo Vallone, docenti dell’Università del Salento, che hanno restituito al tarantismo la sua profondità originaria, lontana dalle banalizzazioni turistiche e folkloriche che ne hanno segnato la percezione contemporanea.
di Nicola De Dominicis
L’evento, condotto con grazia e misura da Maria Mancarella, ha mescolato riflessione, ironia e musica in un equilibrio raro. Gli interventi dei due studiosi hanno tracciato un percorso che va oltre la superficie del fenomeno, riscoprendo nel tarantismo un rito di guarigione collettiva e un linguaggio del dolore. Come ha spiegato Imbriani, ogni “tarantata” aveva la propria melodia, un ritmo personale, costruito per dialogare con la sua crisi interiore. Non una semplice danza, ma una forma di psicoterapia ante litteram, dove il corpo diventava il luogo del riscatto.
Vallone ha poi ricondotto il discorso al sincretismo religioso del Sud, dove il culto di San Paolo a Galatina si intreccia con le antiche figure delle guaritrici pagane: un dialogo tra terra e divino, tra superstizione e fede. In questa fusione, ha sottolineato, si trova la radice più autentica del tarantismo, quella che la modernità ha quasi dimenticato.
La serata è stata arricchita dagli intermezzi musicali degli studenti della Scuola “Sistema Musica Arnesano”, che hanno riportato alla luce il battito primordiale della pizzica, trasformando la riflessione accademica in una piccola festa comunitaria. È in questi momenti, infatti, che la memoria diventa emozione viva.
Impossibile ignorare, durante l’incontro, il confronto con la Notte della Taranta, simbolo della spettacolarizzazione contemporanea del rito. Come ha ricordato Imbriani, il rischio è quello della riduzione commerciale di un fenomeno antropologico complesso, passato “da De Martino a Deejay” in pochi decenni. Tuttavia, Vallone ha invitato a non demonizzare del tutto questa metamorfosi: anche oggi, dietro la vetrina turistica, sopravvive lo stesso bisogno umano di trasformare il dolore in forma, la ferita in ritmo.
L’incontro si è chiuso in un’atmosfera sospesa, tra riflessione e nostalgia, con il pubblico avvolto dal suono leggero dei tamburelli e dall’eco delle parole di De Martino: il rito come memoria del corpo, la danza come linguaggio della sopravvivenza.
Immagine: locandina ufficiale dell’evento.
Last modified: Novembre 3, 2025

