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La tonaca e la mitria: simboli e metafore di un’epoca in cerca di pastori

Lecce (giovedì, 26 giugno 2025) — Nel cuore antico e barocco di Lecce, la città che pare scolpita a mano dalla fede e dal calcare, si sta per compiere un rituale antico come il tempo: l’insediamento di un nuovo arcivescovo.

di Valeria Russo

Monsignor Angelo Panzetta – nome forte, quasi da letteratura ottocentesca – riceverà il pallio metropolitano direttamente dalle mani del Papa. E non un Papa qualunque, ma Leone XIV, l’ultimo della stirpe pontificia ad aver rispolverato il gesto simbolico, imponendolo lui stesso durante la messa solenne del 29 giugno nella maestosa Basilica di San Pietro.

È un ritorno al gesto, al contatto, alla liturgia con le mani: in un’epoca in cui anche i riti sacri rischiano di sfilacciarsi nel virtuale, Leone XIV restituisce alla scena ecclesiale un pizzico di teatralità barocca, ma anche la sostanza millenaria della trasmissione. Ti impongo il pallio, ti affido il gregge. Sei tu, non un altro, a prendere su di te il peso e il conforto della Chiesa locale.

Quel pallio – striscia di lana intessuta di croci nere – sembra poca cosa, quasi una stola di modesto valore. Eppure è simbolo di autorità e di comunione, di potere e di obbedienza. Lo si posa sulle spalle del vescovo come una benedizione e, insieme, come un giogo.

Ma Lecce, città che da sempre coltiva il dialogo tra pietà e bellezza, non si accontenta della liturgia vaticana. L’11 luglio, sarà la sua piazza a parlare. Il Duomo si aprirà come un cuore per accogliere Panzetta e il suo nuovo ministero episcopale. Non più tra i marmi di Roma, ma tra le pietre vissute del Salento, tra le ombre lunghe del barocco e le luci rosate del tramonto. Un vescovo che inizia il suo cammino da una piazza è, per forza di cose, un vescovo che si mostra, che si affida allo sguardo collettivo, alla comunità.

La processione sarà doppia: religiosa e laica. Alle 19, prima della messa, il saluto delle autorità civili in piazza Sant’Oronzo. Un gesto necessario, certo, ma anche carico di una tensione antica: quella fra il trono e l’altare, tra le esigenze del potere terreno e la speranza di una voce che parli non al cittadino-elettore, ma all’uomo intero, ferito, curioso, smarrito.

Cosa ci si aspetta da un vescovo nel 2025? Non solo liturgia e dottrina, ma uno sguardo capace di leggere i segni dei tempi. Si attendono parole chiare sull’ingiustizia e sull’abbandono, sulle solitudini silenziose, sui ragazzi che fuggono e sui vecchi che restano. Si attende, soprattutto, una presenza non scostata, non remota: una guida che cammina accanto, non sopra.

Il ministero di monsignor Panzetta inizia con due gesti solenni, quasi speculari: uno tra i fasti di San Pietro, l’altro tra la quotidianità nobile di una città che ancora si stringe attorno alla sua Chiesa. Due fotografie: una ufficiale, una popolare. Forse l’una compensa l’altra. Forse è da qui che si capisce il senso profondo del ruolo di un vescovo: stare tra la sacralità e la vita, tra il dogma e l’imprevisto umano, tra la croce e la cronaca.

E chissà che quel nome, Panzetta, così concreto, così poco etereo, non diventi a Lecce un sinonimo di prossimità. Perché, alla fine, ciò che conta non è tanto l’imposizione del pallio, ma la capacità di farsi carico di un popolo, ascoltandone la voce anche quando prega in silenzio.

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Last modified: Giugno 26, 2025
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