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 Sud e Sudditi. La Questione Meridionale, o del comodo esercizio del potere

Lecce (mercoledì, 25 giugno 2025) — C’è un’Italia che legge poco, che vota molto (spesso senza sapere bene per chi), che conosce poco della Costituzione ma moltissimo delle dinamiche del favore, del santo in paradiso, del “vediamo che si può fare”.

di Valeria Russo

È l’Italia del Sud, la stessa a cui ogni tanto si dedica un dibattito in prima serata o una promessa elettorale. Poi si richiude tutto, si archiviano le urgenze, si spegne la luce. La Questione Meridionale non è solo economica, e non è neppure solo politica. È, prima di tutto, una questione di cultura negata. Di sapere amputato. Di ignoranza coltivata con cura, come un ortaggio utile.

La verità più scomoda è che l’ignoranza, al Sud, non è solo una conseguenza. È stata — e in parte continua ad essere — uno strumento. Un mezzo di controllo. Un modo per assicurarsi un popolo docile, ricattabile, manipolabile. Chi detiene il potere, da sempre, ha saputo che la conoscenza emancipa. E l’emancipazione è pericolosa per chi vuole restare in alto. L’ignorante, invece, non contesta. Non rivendica. Si affida, si rassegna, si accontenta.

Questa è la colpa più grande delle classi dirigenti del passato — dai Borboni ai governi centrali post-unitari — che nel Mezzogiorno hanno deliberatamente scelto la conservazione invece del progresso. Il Regno delle Due Sicilie, per esempio, non fu solo pigro nel costruire un’istruzione pubblica moderna: fu attivamente ostile all’idea di un popolo istruito. I pochi che sapevano leggere e scrivere erano aristocratici, religiosi, funzionari. Il popolo, meglio che restasse nell’ombra. Un contadino ignorante lavora la terra e tace. Un cittadino istruito legge, chiede, protesta.

Dopo l’Unità, le cose non cambiarono granché. Il nuovo Stato si accorse che la trasformazione del Sud in una parte vitale e pensante della nazione avrebbe richiesto investimenti colossali, una rivoluzione culturale e sociale. E soprattutto, avrebbe generato nuovi soggetti politici. Nuove voci. Nuove pretese. Meglio, allora, gestire il Mezzogiorno con la logica dell’emergenza: sussidi, clientelismi, pacche sulle spalle, promesse non mantenute. Mai un serio progetto di crescita culturale e civile.

Privare della cultura un’intera popolazione è, in fondo, come segarle le gambe. Può camminare, forse, ma solo se si appoggia a qualcuno. E quel qualcuno — il politico di turno, il ras locale, il partito “padrino” — diventa l’unico appiglio. È qui che l’ignoranza mostra la sua utilità per il potere: essa genera dipendenza. La cultura, invece, genera autonomia. Un giovane che ha letto Gramsci non si fa comprare con una promessa di impiego. Una madre che ha studiato diritto non accetta che la scuola del figlio cada a pezzi. Un cittadino che conosce la storia del proprio territorio non si lascia ingannare da chi dice che “qui è sempre stato così”.

E invece il Sud è stato a lungo educato alla rassegnazione. Le biblioteche sono vuote, le scuole fatiscenti, i teatri chiudono, i giornali locali arrancano. Non è solo disorganizzazione. È una precisa architettura del silenzio. Perché un popolo che sogna diventa in fretta un popolo che reclama. E reclamare, si sa, dà fastidio.

Il risultato è una massa di persone spesso straordinarie per dignità e capacità di arrangiarsi, ma private della possibilità di progettare il futuro. Persone che vivono di espedienti non per indole, ma per necessità. Che accettano il compromesso non per scelta, ma per sopravvivenza. Senza sogni, ci si accontenta di poco. Senza cultura, ci si piega. E chi si piega non si oppone.

Oggi più che mai, la vera sfida non è solo creare posti di lavoro, ma creare cittadini. Non solo investire in infrastrutture, ma nel pensiero critico. Insegnare a leggere, sì, ma anche a leggere tra le righe. Dare ai giovani del Sud non solo la possibilità di restare, ma di contare. Perché fino a quando il Sud sarà trattato come una riserva di voti e una discarica di illusioni, continuerà ad essere ciò che alcuni potenti desiderano: una terra piena di gente che chiede favori invece di esigere diritti.

E questa, permettetemi di dirlo, è l’unica vera pigrizia: quella di uno Stato che non ha mai avuto il coraggio di emancipare davvero il suo popolo.

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Last modified: Giugno 25, 2025
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