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Il Paese che danza ancora con le scarpe di una volta

Lecce (venerdì, 27 giugno 2025) —. Che l’Italia sia una Repubblica fondata sul folklore è una verità che pochi osano scrivere nella Costituzione, ma che molti confermano ogni fine settimana, infilando gonne a ruota, gilet ricamati e tamburelli sotto braccio.

di Valeria Russo

E pazienza se nel resto del tempo lavorano in banca o insegnano ginnastica: la sera, sotto le luci giallognole delle sagre, ritrovano una forma di eternità popolare che nessun algoritmo riesce a cancellare.

Torna anche quest’anno, dal 12 al 14 settembre, a Otranto – che più che un luogo è una scenografia naturale, una quinta teatrale affacciata sul mare – il grande rito collettivo chiamato Italia e Regioni. È il raduno nazionale della memoria folklorica, organizzato dalla F.I.T.P., ovvero la Federazione Italiana Tradizioni Popolari, che con la pazienza dei certosini e la testardaggine degli ultimi contadini raccoglie da quarantatré anni canti, danze, parole e padelle da ogni angolo del Paese. Con il patrocinio, come si conviene in queste occasioni, di chiunque abbia una fascia tricolore, un timbro o una Pro Loco a disposizione.

Non è un evento, è una processione laica della memoria. E lo dico senza ironia: è bello vedere un’Italia che resiste vestendosi come una volta, ballando come una volta, cucinando come una volta, parlando come una volta. O, almeno, come si ricorda che fosse una volta. C’è qualcosa di tenero e insieme ostinato in questo grande sforzo di rappresentarsi secondo la propria identità locale, come se ogni gruppo folklorico fosse un piccolo ambasciatore culturale in gita diplomatica, con diritto d’asilo garantito dal Lungomare degli Eroi.

La scaletta è degna di un piccolo festival di Sanremo, ma con più pizzica e meno autotune. Ci sarà il Gran Galà del Folklore (nome che evoca piume di pavone, ma saranno più probabili fiori cuciti a mano), le esibizioni dei gruppi in costume, il concorso dei cuochi in piazza (dove ogni piatto è un trattato antropologico), la mostra dei vestiti tradizionali nell’ex Convento dei Cappuccini, trasformato per l’occasione in un piccolo museo del tempo che fu.

E poi ci sono le sfilate, come in una Milano Fashion Week contadina: il 13 settembre si sfilerà tra le vie cittadine fino al palco del concerto; il giorno dopo, invece, si camminerà verso la Cattedrale, dove l’arcivescovo Francesco Neri celebrerà messa per tutti, ballerini e spettatori. A seguire, una “parata della gioia”, che già nel nome sembra una poesia d’altri tempi.

Menzione speciale, per chi ha ancora un po’ di ritmo nelle gambe e nei ricordi, per il laboratorio di musica popolare curato dai Tamburellisti di Otranto. Titolo bellissimo, quasi da epopea epica: perché se una volta si celebravano i condottieri, oggi si onorano quelli che tengono viva la tradizione a suon di tamburello e sudore.

In fondo, ciò che davvero si muove sotto questa colorata scenografia non è solo la nostalgia, ma una domanda sottile: quanto di ciò che eravamo può ancora servirci per capire chi siamo? E se la risposta – per un istante, per un passo di danza, per una melodia stonata ma sincera – fosse: tutto?

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Last modified: Giugno 27, 2025
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