Lecce (venerdì, 27 giugno 2025) —. Ci sono estati che si raccontano da sole, senza bisogno di titoli allarmistici o breaking news. Basta uscire di casa, attraversare una piazza, fermarsi a un semaforo, per capire che il caldo non è più solo una stagione: è una forma di aggressione.
di Valeria Russo
In questo scenario di piastre roventi e aria ferma, nel Salento – come altrove – ci sono ancora uomini in tuta e casco, chini sul cemento, a scavare, spostare, martellare sotto un cielo che ha smesso di essere azzurro per diventare minaccioso.
La notizia non è che fa caldo. La notizia è che, nonostante un’ordinanza regionale (la numero 350, per chi ama la burocrazia), ci sono ancora cantieri operativi nelle ore proibite. Le ore, per intenderci, in cui persino un turista nordico cerca rifugio nell’ombra di un fico. Dalle 12:30 alle 16, dice la norma, non si lavora al sole. Non si deve. Non si può. E invece si lavora.
A denunciare questa disattenzione che sa di indifferenza sono quelli che la sicurezza non la trattano come un concetto astratto, ma come una condizione concreta e quotidiana: l’associazione per la sicurezza in edilizia di Lecce, e con loro i rappresentanti sindacali territoriali della Feneal Uil, della Filca Cisl e della Fillea Cgil. Gente che non si accontenta dei regolamenti scritti, ma chiede – giustamente – che vengano letti, compresi e applicati.
“È inaccettabile”, dice Angelo Pezzutto, presidente dell’associazione, e non è difficile dargli ragione. Perché quando un corpo umano, magari stanco, magari non più giovanissimo, viene lasciato sotto 40 gradi a spingere una carriola o montare un’impalcatura, il rischio non è più solo quello della disidratazione. È quello della disumanizzazione.
Nel silenzio tiepido degli uffici climatizzati si sono scritte regole anche sensate: anticipare l’orario di lavoro, garantire ombra e acqua, fornire abbigliamento tecnico, organizzare turnazioni, ridurre lo sforzo fisico, attivare un sistema di allerta tra colleghi per riconoscere i primi sintomi del colpo di calore. Tutto giusto. Tutto ragionevole. Ma – come accade spesso – la ragione resta sulla carta. E sul campo, in mezzo alla polvere e al sole implacabile, restano solo gli operai.
A voler essere poetici, si potrebbe dire che il Salento, con le sue campagne arse e i suoi cantieri incastonati tra muretti a secco e scheletri d’acciaio, è oggi una metafora dell’Italia intera: un Paese che scrive leggi illuminate e poi si dimentica di accendere la luce per farle vedere.
Si chiede, con voce ferma ma ancora educata, che qualcuno – un ispettore, un funzionario, un politico distratto – si prenda la briga di verificare. Non per punire, ma per proteggere. Perché la sicurezza sul lavoro non è un favore, non è un premio. È un diritto. E, se serve dirlo ancora, un diritto non si elemosina. Si pretende.
Il caldo continuerà a salire. Le ordinanze continueranno a essere firmate. Ma basterebbe una pausa, una bottiglia d’acqua fresca, un’ombra garantita, per restituire dignità a chi, anche in piena estate, continua a costruire le fondamenta di ciò che chiamiamo “ripresa”.
Last modified: Giugno 27, 2025