Scritto da 10:53 pm Lecce, Attualità, Top News

Precari della giustizia, le toghe senza toga

Lecce (sabato, 28 giugno 2025) — Sono oltre duecento, a Lecce soltanto, e hanno nomi, cognomi, scrivanie, codici da archiviare, faldoni da spostare, file da smaltire, utenti da ascoltare. Ma per lo Stato italiano, ancora oggi, sono un esercito di invisibili.

di Valeria Russo

Si muovono silenziosi tra corridoi austeri e uffici grigi, quelli del pianeta Giustizia – il più lento, il più fragile, il più burocratico dei mondi pubblici – e da anni tappano falle che nessuno sembra voler riparare davvero.

E così, a un anno dalla scadenza dei contratti, torna a farsi sentire la voce di chi ha contribuito, in silenzio e con competenza, a rendere un po’ più vivibile l’invivibile. Lunedì 30 giugno, parte da Lecce – e da una dozzina di altre città – una mobilitazione che sa di rabbia composta: un’assemblea e un sit-in, per chiedere dignità e stabilizzazione. Due parole che, nel lessico della pubblica amministrazione, sembrano sempre più rarefatte.

Alle nove, al terzo piano del tribunale, si parlerà di contratti integrativi fermi al 2010 (quando c’erano ancora i Blackberry), di famiglie professionali in stallo, di ruoli che esistono solo sulla carta. Si parlerà soprattutto di loro, i precari del PNRR: contabili, informatici, linguistici, bibliotecari. Arruolati a tempo per riformare la giustizia, oggi riformati a loro volta – ma verso l’uscita.

«Non siamo fantasmi», dicono. Ma viene da pensare che forse al Ministero della Giustizia la differenza tra un lavoratore e un ologramma sia diventata sottile. Nelle stanze ministeriali si parla di stabilizzarne seimila su dodicimila. Come se l’altra metà – quella che resta fuori – potesse evaporare nel nulla, senza effetti collaterali.

Ma effetti ce ne sono eccome. Perché nei tribunali minorili, negli Unep, nei tribunali di sorveglianza, il personale è al lumicino. Non per metafora, ma per anagrafe: pensionamenti, dimissioni, fughe verso enti più accoglienti, più sensati, più umani. E chi resta? Chi può, si arrangia. Chi non può, si brucia. Chi è precario, aspetta.

Cosimo Rizzo della Uilpa e Floriano Polimeno della Fp Cgil parlano di «emorragia» di personale, di «scopertura» fino al 50% in alcune zone, di una Giustizia lasciata a marcire nella sua lentezza strutturale, come un orologio rotto che si cerca di aggiustare battendolo con un cucchiaio.

Nel frattempo, a Lecce, 314 lavoratori a tempo indeterminato si trascinano le stesse responsabilità, gli stessi carichi, la stessa frustrazione, accanto a 211 colleghi precari. Alcuni lì da più di quattro anni, in barba a ogni norma sulla stabilizzazione. Stessa sedia, stessa firma, stessi faldoni. Ma destini opposti.

La verità è che stabilizzarli – dicono i sindacati – non sarebbe neppure un costo. Quei lavoratori hanno già permesso allo Stato di risparmiare. Non sono un lusso. Sono la colonna vertebrale di un sistema che, senza di loro, collasserebbe del tutto. Ma forse, a forza di non guardarli, abbiamo finito per convincerci che non esistano davvero.

E invece sono lì, ogni mattina. Con le loro chiavi USB, i badge, le cartelline plastificate, i caffè presi al volo. In attesa che qualcuno li riconosca. Non come eroi. Non come martiri. Ma semplicemente come lavoratori. Cioè: come cittadini.

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Last modified: Giugno 28, 2025
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